Labège : a che punto siamo ?
Lo scorso 15 novembre, a Tolosa, sette luoghi di vita sono stati perquisiti, quindici persone fermate, fra queste sei arrestate poiché sospettate di aver partecipato alla “devastazione” dei locali della Protection Judiciaire de la Jeunesse [PJJ, ente giudiziario che si occupa dei minorenni “delinquenti”, NdT] di Labège, avvenuta il 5 luglio 2011 (si è trattato di qualche scritta a spray e del lancio di un po’ di merda…). Alla fine, cinque persone vengono messe sotto accusa, di queste quattro finiscono in detenzione preventiva alla prigione di Seysses ed una in libertà vigilata.
Viene loro imputata l’appartenenza ad un fantasmagorico “movimento tolosano dell’ultra-sinistra”, di cui uno dei principali campi d’azione sarebbe la lotta anticarceraria… Bisogna che qualcuno paghi per la profanazione della Casa della Giustizia di Labège. L’azione del 5 luglio era stata fatta in solidarietà con i rivoltosi del riformatorio [Etablissement Pénitentiaire pour Mineurs, EPM; NdT] di Lavaur. Due mesi prima, infatti, la quasi totalità dei detenuti vi si era rivoltata ed aveva devastato decine di celle. La risposta dell’Amministrazione Penitenziaria e della PJJ, che gestiscono insieme gli EPM, è stata tristemente banale: misure di isolamento, consigli di disciplina, trasferimenti, così come l’arrivo dell’Équipes Régionales d’Intervention et de Sécurité (ERIS), i supersbirri in passamontagna, specialisti della repressione delle lotte in prigione.
Dopo la reclusione dentro, la reclusione fuori: i quattro indagati di novembre escono dalla galera dopo tre mesi di preventiva e passano alla libertà vigilata. La “libertà” per la quale dovrebbero rallegrarsi somiglia molto ad un’ennesima intimazione alla sottomissione. Arrestati/e sulla base di affinità, di contatti telefonici e dell’impegno politico in diverse lotte, la macchina giudiziaria non ha ancora finito di rovinare la vita degli imputati (ed è proprio quello che essa sa fare meglio).
Si vede bene il ruolo della libertà vigilata: ufficialmente serve per evitare inquinamenti dell’inchiesta, ma si tratta in realtà di una lista di obblighi e restrizioni destinati a prolungare la “privazione della libertà”. Bisogna rendere conto dei propri spostamenti, c’è l’obbligo di firmare una volta a settimana in un certo commissariato, passando per il divieto di entrare in contatto le une con gli altri; il messaggio è chiaro: la vita non ricomincia. E tanto peggio se il commissariato in questione è a 600 chilometri da tutto quello che costituisce la tua vita quotidiana, se alcuni degli amici che hanno il divieto di incontrarsi erano insieme nella stessa cella… La Giustizia non ha bisogno di giustificazioni, essa stritola tutto, compresi i più normali desideri di ritrovarsi. All’ostacolo diretto della prigione si sostituisce quello più subdolo, imposto, del controllo poliziesco su se stessi. Bisogna prevedere i propri gesti e azioni, anche minimi, sotto la minaccia permanente di tornare dentro. Migliaia di persone subiscono questa pressione quotidiana.
Sono d’altra parte centinaia di migliaia le persone che alimentano le diverse banche di dati segnaletici degli sbirri. Ogni scusa è buona per essere obbligati al prelievo del DNA, delle impronte digitali, della foto. La quantità dei dati accumulati aumenta ad un ritmo impressionante. Questo progetto di schedatura generalizzata come sintomatico della società di controllo ci fa vomitare. Rifiutare di sottoporsi al prelievo espone, in teoria, al rischio di pesanti multe o di prigione senza condizionale, ma è di importanza cruciale sabotare questo strumento di mantenimento dell’ordine sociale. Tutti/e gli/le arrestate di novembre hanno rifiutato di sottoporsi ai prelievi segnaletici, che sono quindi stati effettuati loro malgrado (DNA preso da coperte, mozziconi di sigarette, bicchieri…). Dovranno rispondere di ciò davanti alla Giustizia il prossimo 9 maggio.
Per farla breve, la recente liberazione dell’ultima degli incarcerati non deve nascondere il fatto che l’inchiesta, per quanto campata in aria, continua. Quello che noi vogliamo è la fine immediata di ogni procedimento giudiziario. Vogliamo che siano tolte tutte le libertà vigilate. Vogliamo la soppressione completa di tutte le banche dati segnaletiche. Vogliamo la distruzione di tutte le prigioni. Vogliamo che scompaia ogni tipo di reclusione.
febbraio 2012-02-21
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